Articolo n.3
COME TRASFORMARE LA CUCINA DI CASA IN IMPIANTO DI RECUPERO (PREPARAZIONE AL RIUTILIZZO)
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Già da dieci anni si continua a parlare di preparazione al riutilizzo.
Tale definizione compare già nella Direttiva CEE/CEEA/CE 19 novembre 2008, n. 98 e la si trova riportata anche nello schema di gerarchia dei rifiuti.
Successivamente con il D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive) è stata recepita tale definizione in ambito nazionale lasciando ai tempi del nostro fulmineo Ministero stabilire le modalità e il reale significato da attribuire a questa operazione.
D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 – Articolo 180-bis – (Riutilizzo di prodotti e preparazione per il riutilizzo dei rifiuti)
Con uno o più decreti del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definite le modalità operative per la costituzione e il sostegno di centri e reti accreditati di cui al comma 1, lett. b), ivi compresa la definizione di procedure autorizzative semplificate e di un catalogo esemplificativo di prodotti e rifiuti di prodotti che possono essere sottoposti, rispettivamente, a riutilizzo o a preparazione per il riutilizzo.
Sono passati già dieci anni e ancora nulla è stato chiaramente definito.
LE NUMEROSE E FANTASIOSE INTERPRETAZIONI
Purtroppo, l’intraprendenza delle amministrazioni e di sedicenti esperti non è riuscita a non cogliere una ghiotta occasione per evidenziare l’incontestata eredità dei nostri avi, inventori oltre che santi e navigatori, di conseguenza si sono viste sorgere le più fantasiose interpretazioni ed applicazioni di ciò che di fatto ancora nessuno può dire di conoscere, ovvero l’interpretazione autentica della definizione di preparazione al riutilizzo.
In piena applicazione del libero arbitrio notiamo amministrazioni che autorizzano tale attività come una vera e propria operazione di recupero, attribuendola ad una delle operazioni di cui all’allegato C (elenco delle operazioni di recupero), spesso mascherandola dietro ad un ormai poliedrico R12.
LA MIA OPINIONE
Personalmente sono assolutamente convinto che questa posizione che vede la preparazione al riutilizzo attribuita al contesto del recupero è oltremodo sbagliata e di seguito se ne evidenziano i motivi.
Per prima cosa, se la comunità europea avesse inteso tale attività come una operazione di recupero, non si sarebbe limitata a darne solo la definizione, ma avrebbe anche integrato l’allegato C con una nuova voce o specificato all’interno di quale di quelle già presenti sarebbe da intendersi ricompresa.
Il termine riutilizzo difficilmente si sposa con rifiuto (inteso nella sua definizione giuridica – D.lgs. 152/2006), per quest’ultimo le fasi conosciute ed associate sono il recupero, riciclaggio, smaltimento.
Riutilizzo sia nel termine anglosassone con cui è redatta la norma europea che in quella italiana apre semplicemente al concetto del “riuso” (ri-utilizzo =usato di nuovo).
D’altra parte, le operazioni attribuite alla fase di preparazione al riutilizzo sono quelle tipiche che consentono ad un qualsiasi materiale di continuare ad essere adoperato esattamente per l’impiego attribuitogli al suo stato di bene.
Le operazioni consistenti nella preparazione al riutilizzo sono quelle che comunemente vengono effettuate sui beni per poterli di nuovo usare come peraltro riportato della stessa definizione della Norma: controllo, pulizia e riparazione in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento. Ben si sposano come esempi quelli dell’aggiustaggio della bicicletta rotta, di un elettrodomestico, ovvero il semplice lavaggio di una damigiana sporca.
Sarebbe assurdo, oltre che pericoloso, creare una aspettativa nell’intendere che queste operazioni rientrino in fasi di recupero, peraltro soggette a preventiva autorizzazione. Come conseguenza anche la lavastoviglie o la lavatrice di casa diventerebbero potenziali impianti di recupero e le massaie incontestate Responsabili Tecnici della Magione.
DA DOVE PROVIENE TUTTA QUESTA CONFUSIONE?
Il vero motivo da cui tutto questo pasticcio è nato, a mio avviso, è da attribuirsi all’adozione di un termine che nel parlato quotidiano acquisisce una connotazione diversa da quello del contesto normativo, ovvero rifiuto.
Mi riferisco ai contenuti stessi della definizione «preparazione per il riutilizzo»: le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento.
Sono convinto che l’intenzione di chi ha scritto tale definizione sarebbe stata meglio rappresentata in questo modo: («preparazione per il riutilizzo» le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti che hanno perso la loro funzione sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento).
CONCLUSIONI
Di conseguenza potremmo sostenere che la preparazione al riutilizzo è quell’azione senza la quale quel bene o prodotto sarebbe destinato a essere gestito come rifiuto, ma che in forza dell’azione di preparazione, rappresentata da preventive operazioni di controllo, pulizia e riparazione se ne scongiura l’attribuzione poiché viene a mancare il presupposto della volontà o dell’obbligo di disfarsene.
Questa visione sosterrebbe la mancanza di adozione di quelle azioni che, nel primo caso, dovrebbero costituire un obbligo (registri, formulari, autorizzazioni, ecc.), poiché trovandomi in presenza di rifiuto, gioco forza avrei deciso di disfarmene, intendendo con disfarmene avviarlo a una qualsiasi operazione di recupero o smaltimento.
Come ovvio immaginare nel caso del riutilizzo non sussiste invece nessuna volontà di disfarsi del bene, tanto più che ho deciso di usarlo ancora (ri-usare), mettendo in atto le azioni che lo ripristino nella sua funzionalità.
Anche nella disposizione della gerarchia dei rifiuti, si parte con l’intento di evitare la produzione dei rifiuti. Le azioni per perseguire tale risultato sono infatti la prevenzione e la preparazione al riutilizzo, dopo di queste, dal punto C in poi, possiamo ritenere di essere già nel contesto di rifiuto.
La gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;
e) smaltimento.
Di fatto l’accanimento perverso che ci vorrebbe portare a ritenere che qualsiasi bene sia potenzialmente un rifiuto risulta contrario alla politica di riduzione dei rifiuti, pertanto non è dato a comprendere come possa essere sostenibile la posizione che identifica come un rifiuto un qualsiasi bene che con una semplice lavata possa essere ancora utile e utilizzabile.
Questo classico esempio di estremizzazione nel voler categorizzare qualsiasi operazione non porta certo a risultati apprezzabili, anzi permette ai giuristi di sbizzarrirsi nell’ipotizzare e ritenere coerente l’inclusione di operazioni quotidiane nel contesto di controllo ed autorizzazione nel campo normativo dei rifiuti.
E INFINE… IL CASO PARTICOLARE!
Non oso pensare al vicino di casa che ti denuncia mentre stai imbottigliando il vino visto che stai preparando le bottiglie a riuso, oppure del povero tecnico riparatore di elettrodomestici o di automobili che dalla sera alla mattina si vedrà costretto a richiedere una autorizzazione al recupero, fino all’estremizzazione della massaia di casa che prima di fare una lavatrice comunica l’inizio dell’attività alla Provincia di competenza!!!
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